Il ragazzo che cambiò la storia dello sport
Chi mai avrebbe detto che un siciliano sarebbe entrato nelle leggende del ciclismo? Nessuno. Nibali: la storia di una volontà, di una coerenza, di una testardaggine e di una semplicità che hanno stupito il mondo

Cominciamo subito con una provocazione: quando canta Sciuri Sciuri, incalzato dai microfoni paccottari della Rai, Nibali Vincenzo, l’atleta proveniente da Rione Gavitelli, Messina, non è siciliano, esattamente come non è ciclismo la parodia del corridore che dice ciao mamma alla tv. Invece uno degli elementi che rendono Vincenzo Nibali figlio pieno dell’isola è il suo accento ancora intatto, leggero ma ancora forte nonostante gli anni passati in Toscana, cosa che non è comune a tutti i corridori che da giovani, per entrare nel ciclismo, sono costretti ad emigrare. Sciuri Sciuri, una canzone, la puoi riimparare a memoria, sbandierarla anche se non ti ha mai detto niente, l’accento no, se rimane è perché è qualcosa di profondo, che viene dall’anima, un connotato di te.
Ma non è solo l’accento che rende Vincenzo figlio dell’isola. Lo è anche metaforicamente la sua vita. Prendi come, da immigrato, è restato attaccato alla sua terra, perché il tempo del ritorno lo trova sempre, o guarda come è diventato campione, la sua storia, tutta la testardaggine e la scelta coraggiosa di non rinunciare allo sport che sentiva suo, che gli mostrava una strada anche se questo voleva dire lasciare casa Ecco, Vincenzo è profondamente siciliano anche per la sua capacità di inseguire un impensabile, perché chi mai prima che lui arrivasse poteva pronosticare che un ciclista siciliano sarebbe entrato nella leggenda e nell’olimpo del ciclismo? No, non era un evento pronosticabile.
Innanzitutto, perché il ciclismo siciliano attecchisce solo per amore in una terra arida, che non aiuta nessuno sport, tanto meno quello ormai quasi esclusivamente continentale del pedale.
Eppure, nonostante tutto, Vincenzo Nibali, vent’anni fa, scelse di pedalare. Si fece ciclista imparando a manovrare la bicicletta da folle dentro una città caotica come Messina. E vai a spiegare ai teorici della tecnica che fu in quegli anni che Vincenzo divenne uno dei migliori discesisti mondiali, e lo fece calcolando le traiettorie in un traffico caotico e non disegnando le frenate sul Tourmalet. Ecco, Vincenzo, da siciliano, con la sua voglia di fare al di là degli steccati e delle scuse facili, ha cambiato la storia dello sport, perchè adesso la geografia dei fuoriclasse è cambiata. Lui, uno dei grandi del ciclismo (a vincere i tre giri sono stati in pochi, una lista da brivido) è venuto da lì, da Messina, dalla Sicilia affacciata sul tirreno, e dalle gare in mountain bike, quando nei miscugli del semiagonismo, da ragazzino, batteva tutti, adulti e ragazzi.
Quella di Vincenzo è la storia di un talento siciliano testardo e semplice alla stessa maniera, figlio di un’isola che per convenienza non rinnega niente, nessuna storia. Pensiamo al fatto che di fronte ai francesi. che hanno prima usato e poi buttato Marco, Nibali ha sempre rispettato e amato il suo ricordo. E a quella maglia gialla portata a mamma Tonina, come promesso. A dire che la storia di Marco e Vincenzo sono le stesse, senza distinzioni di convenienza anche se forse sarebbe convenuto fare il bravo ragazzo venuto dal nulla, quelli che tanto piacciono a Parigi (vi ricordate un certo Lance Armstrong?). Sì, di fronte ai dubbi retorici di tanti, Nibali avrebbe potuto sorvolare, fingere che quel romagnolo in giallo non avesse mai vinto il Tour, magari non fosse neanche esistito, visto che lassù, ormai, non va più tanto di moda. Non l’ha fatto. Perché Vincenzo è siciliano, e da sempre ha imparato che i discorsi perbenisti, moralisti stancano, sporcano, ma non sono verità. Anzi, spesso sono il modo di non infangarsi le mani per chi non vuole cambiare le cose. Ecco, Vincenzo quando canta imbarazzato Sciuri Sciuri in tv non è siciliano, ma in questa coerenza e nel resto della sua vita, sì. Ed è quello, che conta.