"Di mafia si muore sempre tre volte"

Di scena il grande teatro, ieri sera a Naso, il teatro delle grandi emozioni, del travaglio interiore, della sofferenza, del dolore, della denuncia, della forza e del grande coraggio delle donne che non si arrendono, si ribellano anche a costo di farsi terreno bruciato attorno denunciando nelle aule di tribunale...

La mafia uccide sempre tre volte, diremmo la mafia uccide sempre, uccide materialmente e uccide moralmente. Storie di mafia ne sono state raccontate da sempre ed il teatro è stato sempre uno dei mezzi preferiti per ricordare allo spettatore le storie di mafia e delle sue crudeltà, sono state le donne a pagare sempre un prezzo altissimo alla mafia. E storie di donne vittime del sistema mafioso sono state raccontate al  cineauditorium di Naso. “ Di mafia si muore sempre tre volte” questo il titolo della piece teatrale messa in scena da Marina Romeo, autrice anche del testo. Sul palcoscenico Oriana Civile, Beatrice Damiano e Salvatore Barone nel ruolo del narratore "letterato" che cuce i racconti l'uno all'altro. Hanno raccontato le loro storie di morte Serafina Battaglia, Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale;  Felicia Impastato madre di Peppino Impastato;  Graziella Campagna, Rita Atria. Non a caso sono storie di donne. Si muore tre volte perché la prima è la morte fisica, la seconda volta si muore per il discredito e  la terza sono le istituzioni nella loro interezza che non riescono ad assicurare giustizia.  Donne coraggio, che hanno fatto la storia, ma anche donne che sono rimaste emarginate nell'immaginario collettivo. A riportarle con prepotenza alla memoria sono state le due interpreti, ben sorrette dal filo del racconto del giornalista, interpretato da Salvatore Barone che ne presenta le storie. Così Serafina Battaglia racconta la storia della sua denuncia, contravvenendo a regole non scritte e crudeli; Francesca Serio che piange la morte del figlio sindacalista Salvatore Carnevale; Felicia Impastato che rievoca la morte del figlio Peppino ed infine i racconti in prima persona di Graziella Campagna e di Rita Atria. Queste due ultime le storie più  toccanti e forti: Oriana Civile ha dato voce a Graziella Campagna, la ragazzina di Saponara, tutti ricorderanno l'inutilità del suo omicidio, solo perché aveva trovato in un capo da lavare nella lavanderia dove lavorava per 150 000 £ al mese, in nero ovviamente, un documento che dimostrava che il sedicente ingegner Cannata era in realtà il nipote latitante di un boss mafioso. La sua  scomparsa fu subito classificata come "fuitina",  solo il ritrovamento del corpo crivellato di proiettili dimostrò la cruda realtà; ma il procedimento andò avanti in un  modo che per pudore qui non si racconta e solo la tenacia del fratello, carabiniere, riuscì a portare avanti ai giudici i due assassini per la condanna finale. Oriana Civile  è stata bravissima nell'immedesimarsi nella ragazzina di 17 anni  che racconta la sua storia al canto di una canzonetta di Eros Ramazzotti, tra l'altro cantata dal vivo, molto bene dalla stessa Oriana, a dimostrare la sua bella ingenuità, la freschezza e la spensieratezza di una ragazzina innamorata del suo ragazzo e della vita,  ragazza sognatrice, incantata dal mondo,  riuscirà a trattenere gli spettatori con una tensione emotiva che ha portato qualcuno anche alle lacrime. Infine, in ordine di scena la storia di Rita Atria, figlia di mafiosi che denuncia il padre  ed il fratello mafiosi e per questo è rifiutata dalla madre anche dopo la morte che lei si dà volando dal quinto piano di un palazzo di via Amelia a Roma dove si trovava sotto copertura, morte avvenuta due giorni dopo l'uccisione del Giudice  Borsellino. Era stato il giudice Borsellino allora procuratore a Trapani a raccogliere le deposizione della giovane Rita che da testimone di giustizia e non da "pentita" come la vollero fare apparire i giornali, a raccontare le storie della cosca mafiosa; la morte di Borsellino getta Rita nella disperazione fino a indurla al suicidio, sul quale peraltro si sono nutriti sempre sospetti che  "spingerla" non sia  stata solo la paura. Un'ora e mezzo di spettacolo, intenso, con le interpreti ben calate nella parte, a dare una lezione di grande dignità e coraggio come solo le donne sanno dare.  


Giuseppe Ciccia